Termini massimi di pagamento entro 30 giorni, la stretta dell’Europa

Podcast con: Avv. Stefano Taurini
Pubblicazione: MARK UP
Data: 1 Dicembre 2023

Federdistribuzione ha lanciato l’allarme, stimando una perdita di 15 miliardi di euro. Con l’avvocato Taurini facciamo chiarezza sull’iter della norma sui pagamenti che si sta discutendo in Europa.

La nuova puntata della serie Il Legale Risolve si occupa di un tema che preoccupa tutta le aziende legate al settore della distribuzione e dell’industria in quanto introdurrebbe l’obbligo di pagamento a 30 giorni in tutti i casi superando di fatto l’attuale normativa. Con l’avvocato Taurini partiamo dalle norme in vigore per arrivare a quello che si sta discutendo in Europa, una vera e propria stretta al settore che potrebbe rivelarsi un boomerang. Passiamo la parola all’avvocato Stefano Taurini dello studio Thmr, che si può ascoltare in audio o leggere in questo scritto.

Nel quadro delle misure a sostegno delle Pmi, lo scorso 12 settembre la Commissione Ue ha presentato una bozza di regolamento relativo alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. La relazione che accompagna il documento afferma la necessità di garantire che tutti gli Stati membri adottino una normativa idonea a prevenire tali ritardi, i cui effetti appaiono particolarmente dannosi per le Pmi.

Per raggiungere questo obiettivo si prevede dunque che:

  • il termine massimo di pagamento sia fissato a 30 giorni in tutte le transazioni commerciali tra imprese o tra amministrazioni pubbliche ed imprese;
  • questo termine decorra normalmente dal ricevimento della fattura, a condizione che a quel momento il debitore abbia già ricevuto la prestazione concordata;
  • solo in via eccezionale la decorrenza possa coincidere con il completamento della procedura di verifica della prestazione (verifica da ultimare comunque nei 30 giorni successivi all’effettuazione della prestazione);
  • in caso di ritardo nel pagamento, il debitore sia tenuto a corrispondere al creditore, oltre al prezzo dovuto, anche gli interessi di mora (pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali) ed un risarcimento forfettario delle spese di recupero;
  • il diritto del creditore agli interessi moratori ed al risarcimento non possa essere oggetto di rinuncia.

Si tratta, all’evidenza, di una normativa estremamente rigida, destinata ad abrogare quella di cui alla direttiva 2011/7/ UE (recepita in Italia con il decreto legislativo 9 novembre 2012 n. 192) ed a modificare, nella sola parte concernente i termini di pagamento, quella della direttiva 2019/633/UE riferita al solo settore agroalimentare (recepita con il decreto legislativo 198/2021).

La bozza del nuovo regolamento, che ad oggi non è stata ancora approvata, solleva numerose perplessità, prima tra le quali quella relativa all’adeguatezza delle norme ivi previste rispetto alle finalità dichiarate della Commissione Ue. Una volta chiarito, infatti, che lo scopo del provvedimento è quello di combattere i ritardi di pagamento, si può certamente comprendere l’appesantimento del regime sanzionatorio applicabile alla parte che non versa tempestivamente il corrispettivo dovuto (e quindi l’introduzione di interessi di mora e di risarcimenti forfettari non rinunciabili). Non si giustifica invece la riduzione imperativa del termine massimo che il creditore può concedere al debitore per effettuare il pagamento, in quanto una simile disposizione, che riguarda il contenuto dell’accordo, non incide affatto sulle conseguenze dell’inadempimento e non serve quindi a contrastare i possibili ritardi.

Anzi: l’adozione del testo ora in discussione –che fissa una regola generale, insensibile alle concrete esigenze finanziarie dell’acquirente– potrebbe verosimilmente generare nuove difficoltà alle imprese della distribuzione, aumentando il rischio di loro inadempimento: si consideri che, secondo i dati comunicati da Federdistribuzione, l’introduzione di un termine unico a 30 giorni avrebbe l’effetto di sottrarre liquidità, alle imprese italiane del settore retail, per circa 15 miliardi di euro.

A ciò si aggiunga che, nonostante la finalità di protezione riguardi le Pmi, la bozza di regolamento presenta una disciplina applicabile indistintamente a tutte le transazioni commerciali, indipendentemente dalla dimensione dei contraenti e dall’oggetto della prestazione, così prestando il fianco ad un’ulteriore censura di incoerenza. Urgente dunque l’auspicio che gli organi comunitari riconsiderino l’opportunità di un simile intervento.