Decreto 198/21 restano dubbi interpretativi

Articolo di Avv. Stefano Taurini
Pubblicazione: MARK UP
Data: 10 Maggio 2022

Dai termini di pagamento alla forma dei contratti, passando per le nuove sanzioni, la serie dei podcast di Mark Up “Il legale risolve”, in collaborazione con lo studio Thmr, prova a fare chiarezza nella nuova normativa.

A distanza di quattro mesi dalla sua Entrata in vigore, il decreto legislativo n. 198 dell’8 novembre 2021, continua ad alimentare polemiche e dubbi interpretativi. Il tema più dibattuto è naturalmente quello che per primo ha dovuto essere affrontato dalle imprese della filiera agroalimentare, vale a dire quello che riguarda i nuovi termini di pagamento dei prodotti.
La nuova normativa, varata per recepire nell’ordinamento nazionale la direttiva comunitaria 2019/633 sulle pratiche sleali, ha disegnato un sistera diverso da quello precedentemente in vigore, prevedendo che il termine massimo entro cui l’acquirente deve effettuare il pagamento sia pari a 30 o a 60 giorni a seconda che esso riguardi il prezzo di prodotti alimentari deperibili o non deperibili. Il criterio per distinguere le due aree è quello della vita commerciale del prodotto venduto, che sl considera deperibile o non deperibile a seconda che diventi o meno inadatto alla vendita entro 30 giorni dalla raccolta, dalla produtione o dalla trasformazione. Per quanto riguarda la decorrenza del termine di pagamento, che nel vigore del precedente regime coincideva sempre con l’ultimo giorno del mese in cui l’acquirente aveva ricevuto la fattura, il legislatore del 2021 ha introdotto un meccanismo più complesso, dettando regole diverse in funzione del tipo di rapporto commerciale stabilito tra le parti.
Quando esso abbia il carattere della stabilità, i termini decorrono dalla fine del periodo di consegna concordato tra le parti o, se successive, dalla data alla quale è stabilito esattamente il prezzo da corrispondere.
Quando invece la relazione tra fornitore ed acquirente sia occasionale, i termini di pagamento decorrono dalla data della consegna delle merci o, ancora una volta, dalla date alla quale è stabilito il prezzo da pagare, se successiva.
La regola, come si diceva, ha generato piu di una difficoltà di lettura. Per applicarla correttamente occorre anzitutto delimitare conprecisione le due situazioni considerate dalla legge. Il decreto impiega parole di non immediata comprensione, distinguendo a seconda che le parti abbiano o meno stipulato un “contratto di cessione con consegna pattuita su base periodica”. La relativa spiegazione si trova però nello stesso provvedimento, laddove viene chiarito che questa espressione indica tutti i casi in cui tra fornitore ed acquirente esista un accordo quadro (e dunque una convenzione che regola in modo uniforme tutte le cessioni di prodotto che saranno concluse in un certo tempo, normalmente un anno) oppure un contratto di fornitura con prestazioni periodiche o continuative (e dunque un contratto di somministrazione).
In questi due casi i termini di pagamento decorrono dalla fine del co periodo di consegna oppure, se successiva, dalla data alla quale l’acquirente riceve la fattura del fornitore. In tutti gli altri casi e dunque quando l’acquisto di merce è occasionale la scadenza dei termini si definisce iniziando il conteggio dalla data di consegna della merce o, se successiva, dalla data di ricevimento della fattura. Resta da capire quali siano il significato e la funzione del “periodo di consegna”.
Molto semplicemente: nel loro rapporto continuativo, le parti regoleranno le partite commerciali ad intervalli di tempo predeterminati (e liberamente tra loro concordati, ma in ogni caso non superiori ad un mese di calendario). I termini entro cui l’acquirente dovrà effettuare il pagamento per tutte le merci ricevute nello stesso arco temporale (il periodo di consegna, appunto) decorre ranno dunque dalla fine di esso.

SERVE UN CHIARIMENTO DAL MINISTERO
La nuova regola è, ripetiamo, di non semplice lettura ed applicazione, ragione per la quale sarà opportuno che sia proprio il ministero -ed eventualmente l’leqrf, ente deputato a garantire l’applicazione delle nuove disposizioni- a dare indicazioni interpretative a questo proposito.
Un chiarimento sarà opportuno anche con riferimento alla forma del contratto. Il decreto 198, che pure è infatti esplicito nell’affermare che la cessione di prodotti agricoli ed alimentari deve essere stipulata per iscritto, lascia irrisolte alcune questioni.
In particolare non è chiaro se il contratto concluso in forma scio verbale sia nullo (e dunque non produca alcun effetto tra le parti) oppure sia ugualmente valido ed esponga unicamente le parti al rischio di essere sanzionate dall’autorità con un importo per altro molto elevato, in quanto commisurato, nel massimo, al 5% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento.
La domanda vale, negli stessi termini, per il caso in cui il contratto, anche se concluso in forma scritta, non riporti tutte le indicazioni prescritte dalla legge (che menziona durata, quantità e caratteristiche del prodotto venduto, prezzo, modalità di consegna e di pagamento). Cosi come appare opportuno raccogliere un’indicazione ufficiale che consenta alle Imprese della filiera di comprendere in modo sicuro come re il contenuto contrattuale, quando la disciplina del rapporto non sia riportata in un solo contratto di cessione, ma risulti distribuita tra un contratto quadro ed altri documenti unilaterali (ordini di acquisto e documenti di trasporto e di consegna).
C’è quindi de augurarsi che gli indispensabili chiarimenti sui temi sopra indicati e sui numerosi altri che riguardano la controversa materia dei comportamenti cd sleali tra imprese giungano in tempi brevi, cosi da orientare gli operatori ed evitare il pericolo che insorgano controversie legate a differenti interpretazioni del disposto di legge.