Responsabile il medico che propone al paziente l’intervento più rischioso
Articolo di: Avv. Filippo Martini, Avv. Mauro De Filippis
Pubblicazione: Il Sole 24 ore
Data: 14 Ottobre 2024
Nella scelta del miglior trattamento chirurgico da proporre ed e seguire su un paziente, il medico deve tenere conto anche e soprattutto della pericolosità dell’intervento proposto in relazione alla patologia che si intende curare. Se il paziente abbia riportato gravi danni permanenti a causa delle complicanze di un intervento chirurgico, il giudizio sulla condotta del medico non riguarda solo la corretta pratica adottata, ma anche la stessa scelta di proporre un intervento invasivo rispetto a un trattamento conservativo che presenti meno rischi di complicanze. Infatti, la valutazione circa la corretta indicazione chirurgica deve essere fatta con riferimento alla pericolosità del trattamento proposto e non con riferimento alla possibilità di guarire dalla malattia. È quanto ha stabilito l’ordinanza 25825 del 27 Settembre 2024 della Cassazione.
La Corte di legittimità ha esaminato il caso di un paziente che, avvertendo forti dolori alla schiena, si era rivolto alle cure di un primo medico il quale, diagnosticata una lombosciatalgia priva di interessamento neurologico, aveva escluso la necessità di un intervento chirurgico. Tuttavia, persistendo i dolori, il paziente aveva consultato un altro specialista, che gli aveva invece consigliato l’intervento chirurgico; al paziente erano stato date informazioni verbali sulla possibilità che l’intervento potesse procurare, seppure in rari casi, complicanze al sistema nervoso spinale.
Purtroppo, a seguito dell’intervento, il paziente aveva riportato una grave forma di paresi agli arti inferiori, con la perdita diogni autonomia e funzione dinamica e relazionale.
Il paziente ha quindi presentato domanda di risarcimento dei danni, accolta dal Tribunale, ma respinta in appello. Secondo la Corte di merito,infatti, i danni conseguenti all’intervento costituivano una complicanza imprevedibile e che non si poteva imputare al chirurgo la scelta di adottare un intervento invasivo in luogo di una terapia conservativa, la quale certamente non avrebbe guarito la patologia spinale.
La Cassazione, chiamata a decidere sul ricorso promosso dal paziente, ha criticato la decisione della Corte di merito per aver escluso la rilevanza causale della scelta di procedere all’intervento chirurgico in quanto un intervento non invasivo o conservativo non avrebbe comunque risolto la patologia in essere.
I giudici del Supremo collegio hanno rammentato che la valutazione circa la scelta terapeutica più adatta al paziente deve essere fatta – secondo la tecnica giuridica del “giudizio contro fattuale” – non con riguardo alla patologia da curare, ma con riferimento alla pericolosità dell’intervento in sé e alle possibili complicanze imprevedibili delle quali il paziente deve essere portato a conoscenza.
In buona sostanza, il giudice deve indagare se, al momento della scelta terapeutica, l’intervento conservativo, in luogo di quello chirurgico, avrebbe evitato o meno i danni permanenti al paziente, piuttosto che chiedersi se l’intervento conservativo avrebbe sortito effetti benefici per l’interessato guarendolo dalla patologia.
La Suprema Corte sottolinea dunque il principio per cui nell’accertamento del nesso causale la condotta alternativa lecita va messa in relazione all’evento concretamente verificatosi (la grave paralisi agli arti inferiori), e di cui si duole il danneggiato, e non rispetto a un evento diverso solo astrattamente ipotizzato (la possibile guarigione dalla patologia).