L’avvocato Marizio Hazan commenta l’articolo “Il paziente che rifiuta il ricovero libera il medico solo se è informato” pubblicato su Il Sole 24 Ore il 26 Agosto 2024.

Il tema trattato nell’articolo, al di là dell’interesse specifico dell’argomento, conduce (o, almeno, mi conduce) a riflessioni superiori e ben più attuali e trasversali, specie in questi tempi di ipertrofia delle forme e di eccessi burocratici e regolamentari.

La buona cura delle relazioni – umane prima che giuridiche – sembra oggi un impegno etico necessario e richiede un discreto sforzo nella costruzione di reti sociali autenticamente solidali, fondate sul principio dell’ “essere con” anziché dell’”essere contro”.

Il progresso e lo sviluppo di una comunità, nel suo insieme, chiede il superamento di determinate asimmetrie culturali, tecniche e informative; e pone, anzi, l’esigenza di colmarle, tanto più nel campo delle relazioni giuridicamente rilevanti in cui vi siano parti forti e parti più deboli. E se è vero che i litigi costano – in termini umani ed economici – è altrettanto vero che la prevenzione dei conflitti passa anche attraverso l’allestimento di relazioni (umane e giuridiche) il più possibile lineari ed empatiche (anche nell’era della robotica).

Tutto giusto; sacrosanto direi. Ma perché questo accada veramente occorre non fermarsi al livello delle mere affermazioni di principio. Occorre crederci, per davvero.

E soprattutto non mistificare l’obiettivo, trincerandosi dietro ai salvacondotti formali o alle altre complesse  architetture burocratiche così tanto care al moderno legislatore (europeo e nazionale): la deprecabile esasperazione regolatoria di questo ultimo decennio rischia, infatti,  di confondere la sostanza nella forma, offendendola talvolta.  E ci affatica, obbligandoci alla affannosa e continua ricerca di una compliancenormativa che tende talvolta a risolversi   nell’osservanza meccanica di un complesso di regole mal scritte e ancor peggio concepite. Regole   perciò spesso mal sopportate da chi dovrebbe applicarle, nella loro frequente mancanza di proporzione e razionalità.

Sarebbe dunque ora di  lasciarsi dietro alle spalle gli eccessi di certe liturgie giuridiche e normative, privilegiando la semplicità e la chiarezza: patti chiari, per un amicizia lunga.

Corsi e ricorsi, verrebbe da dire, giacchè a voler ben vedere, non si tratta di nulla di veramente nuovo. L’idea vittoriosa della semplificazione e della necessità di sciogliere inutili e sovrabbondanti grovigli legislativi emergeva già, con bella formula, nell’iscrizione dedicata al Code Napoleon all’interno del mausoleo degli invalidi a Parigi:  “Mon seul code par sa simplicité a fait plus de bien en France que la masse de toutes le loi qui m’ont précédé. – Napoleón”

D’altra parte, la via per  imbastire relazioni davvero proficue e fiduciarie passa non solo attraverso la puntualità delle forme ma, soprattutto, la padronanza di una comunicazione più autentica che consenta agli interessati, nei limiti del possibile,  di reciprocamente sintonizzarsi.

 Se ciò vale in termini generali, a maggior ragione dovrà valere nella gestione delle relazioni sanitarie. Dove, ad esempio, equivocare il senso del cd “consenso informato”, riducendolo alla precompilazione e sottoscrizione di fredda e muta modulistica, significa tradire il senso sacro dell’alleanza terapeutica; di quell’alleanza – cioè – che dovrebbe invece costituire la base della più sana cooperazione tra medico e paziente nell’affrontare ogni percorso di cura. Ecco perché, come ho scritto in chiusura del contributo allegato, l’importanza della comunicazione assume un piglio ancor più deciso, in sanità. E se è vero che «il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura» (articolo 1, comma 8, legge 219/2017), è ancor più vero che il tempo, da solo, non basta: quel che conta, forse anche di più, è il modo con cui si comunica. Modo che, quando ben gestito, lega a doppio filo il medico e il paziente consentendo di condividere, prevedere e superare – anche con la forza di una vicinanza umana prima che professionale – le criticità che un percorso sanitario può talvolta riservare.

Dare informazioni sul progetto di cura e raccogliere il consenso del paziente non può più essere – come talvolta è – un atto dovuto di burocrazia formale, sbrigativa e difensiva. Ma deve costituire un’occasione imperdibile per iniziare a strutturare quella relazione fiduciaria che, se mantenuta nel tempo e gestita con cura, predisporrà le parti a rispettarsi, come stretti alleati uniti da un obiettivo comune.

Si potrà, comprensibilmente, obiettare  che – al di là delle nobili intenzioni –  la cruda realtà ospedaliera non rappresenta  il contesto ideale entro il quale calare in pratica questi principi. Tra il dire e il fare c’è di mezzo la difficoltà strutturale in cui versa un sistema sanitario le cui attuali risorse – umane, economiche e strumentali –  non paiono adeguate a fronteggiare le reali esigenze del quotidiano.  Si tratta di un’osservazione corretta, che non deve però esser presa a pretesto per rimanere immobili e non iniziare a contribuire, ciascuno  nei limiti delle proprie possibilità,  a quel cambio di passo culturale che la legge 24/2017 impone, a tutela della sicurezza delle cure. Da qualche parte bisognerà pur iniziare, nell’auspicio che anche  il legislatore “faccia il suo”, comprendendo la necessità di alleggerirsi ed alleggerirci, a favore di una tecnica regolatoria meno ridondante e più efficace.