I termini per il risarcimento in forma di rendita vitalizia

Articolo di Avv. Marco Rodolfi
Pubblicazione: Insurance Daily
Data: 27 Ottobre 2022

La recentissima sentenza 31574 della Cassazione chiarisce alcuni aspetti sulla liquidazione delle macro-invalidità non in forma di unico rimborso ma in quote mensili, inevitabilmente correlando l’importo effettivo alla durata della vita. Un aspetto che avrà un impatto rilevante sull’economia dei sinistri e sulla gestione delle compagnie assicurative.

In data 25 ottobre 2022 la Suprema Corte ha emesso la sentenza 31574 in tema di risarcimento del danno biologico in forma di rendita vitalizia. La decisione appare francamente rivoluzionaria nel prospettare la liquidazione delle macro-invalidità sotto forma di rendita, non solo pertanto in relazione ai danni patrimoniali da spese di assistenza future e di danno patrimoniale futuro da lucro cessante (come è stato fatto sino a ora da parte, peraltro decisamente minoritaria, della giurisprudenza di merito), ma anche in relazione ai danni non patrimoniali subiti dal macroleso. Nel caso di specie, i genitori di un bimbo con gravissimi postumi permanenti conseguenti a un episodio di medical malpractice hanno promosso un ricorso incidentale innanzi al Supremo Collegio, avverso una sentenza di corte d’appello di Milano che aveva provveduto a liquidare (confermando l’entità del risarcimento del danno non patrimoniale nella misura liquidata in primo grado: 1.219.355 euro) sotto forma di rendita vitalizia: “considerata l’impossibilità di stabilire in modo oggettivo una durata presumibile della vita di (…) e tenuto conto altresì del carattere permanente del danno”, in quanto tale modalità di risarcimento meglio risponderebbe “alle concrete esigenze del danneggiato, garantendogli per tutta l’effettiva durata della vita la percezione di quanto liquidato annualmente”.

In riforma della sentenza di primo grado, pertanto, la Corte aveva convertito il risarcimento in forma capitale, disponendo una costituzione di una rendita vitalizia quantificata in euro 1.283,53 mensili. Secondo i ricorrenti incidentali, Ia sentenza sarebbe stata tuttavia “contraddittoria in quanto, pur avendo rigettato Ia richiesta di riduzione dell’entità del risarcimento riconosciuto al figlio (omissis) a causa della sua minore aspettativa di vita, ritenendola determinata proprio dalle colpevoli omissioni delle controparti, avrebbe poi in concreto consentito loro di giovarsi della propria condotta, applicando un criterio di liquidazione che, implicitamente, consentiva Ia predetta riduzione, tenuto conto della ridotta aspettativa di vita del minore”. La decisione era altresì criticata per un erroneo coefficiente di calcolo utilizzato per la costituzione della predetta rendita.

Spetta al giudice la scelta della forma di risarcimento
La Suprema Corte ha respinto la doglianza con cui è stata lamentata Ia “contraddittorietà” della sentenza in relazione alla costituzione di una rendita in favore dell’avente diritto”, mentre invece ha ritenuto “fondata Ia censura con Ia quale si prospetta un error in iudicando nella concreta determinazione della detta rendita”.

Il Supremo Collegio ricorda che l’articolo 2057 del Codice civile: “rimette al prudente apprezzamento del giudice la scelta della forma di liquidazione del danno permanente alla persona, perché capitale e rendita si equivalgono per I’ordinamento civilistico. II giudice è dunque libero di optare ex officio per lo strumento di cui all’art. 2057 C.c., purché determini Ia rendita in modo tecnicamente corretto”. Di conseguenza: “nessuna contraddittorietà” è emersa dalla decisione con cui Ia corte d’appello, da un lato, ha ritenuto corretta Ia quantificazione del danno compiuta dal primo giudice, e dall’altro ha ritenuto di liquidare tale pregiudizio in forma di rendita. Non sarebbe “conforme a diritto”, poi la contestazione secondo cui Ia liquidazione in forma di rendita, cessando con Ia morte del beneficiario, “agevolerebbe” il responsabile del fatto illecito in tutti i casi in cui proprio Ia gravità delle lesioni provochi una ridotta aspettativa di vita per la vittima, determinando una riduzione dello stesso risarcimento. Questo perché: “iI coefficiente di costituzione della rendita deve corrispondere (…) all’età effettiva del danneggiato al momento del sinistro – e avrà riferimento alla durata media della vita, calcolato sul presupposto che, secondo le statistiche mortuarie attuali, un ventenne ha una aspettativa di vita di sessant’anni, un quarantenne di quaranta e un sessantenne di venti”. Allorché: “si tratti di determinare il capitale da cui ricavare Ia rendita, Ia minore speranza di vita della vittima non viene in rilievo, e nessun vantaggio ne trarrebbe il responsabile, qualora quella minor speranza di vita sia stata determinata, come nella specie, dalla sua condotta illecita” (come ha fatto nel caso di specie la corte d’appello, che ha tenuto fermo come base di calcolo l’importo liquidato a titolo di sorte capitale dal tribunale). Pertanto: “se la vittima venisse a mancare ante tempus, con Ia sua morte cesserebbe il pregiudizio permanente e, cessando il pregiudizio, non sarebbe concepibile la ulteriore pretesa di continuare a esigere un risarcimento”. L’universo del danno grave alla persona, secondo la Suprema Corte dunque: “rappresenta (dovrebbe rappresentare) il terreno d’elezione per un risarcimento in forma di rendita”.

La rendita non costituisce favore per il danneggiante
Non costituisce presupposto ex lege per l’applicazione dell’art. 2057 C.c., invece: “l’istanza dell’avente diritto. La norma, difatti, ha configurato la liquidazione della rendita non come un diritto della parte, ma come una facoltà del giudice, il quale può provvedervi, anche in appello, in via autonoma (…) quand’anche la parte abbia espressamente dichiarato di rifiutare tale forma di liquidazione”. Neppure è condivisibile: “l’affermazione per cui, attraverso la liquidazione di una rendita, il danneggiante si avvantaggerebbe delle conseguenze del proprio atto illecito, perché la vita media di chi ha subito danni alla persona sarà verosimilmente più breve rispetto a quella delle persone sane”.
Difatti: “ove venga (correttamente) adottata tale forma risarcitoria, il valore della rendita dovrà essere computato tenendo conto non delle concrete speranze di vita del danneggiato, bensì della vita media futura prevedibile secondo le tavole di mortalità elaborate dall’Istat, a nulla rilevando che, nel caso concreto, egli abbia speranza di sopravvivere solo per pochi anni, ovvero che non risulti oggettivamente possibile determinarne le speranze di sopravvivenza, qualora tale ridotta speranza di sopravvivenza sia conseguenza dell’illecito”. Aggiunge peraltro la Suprema Corte che: “Nel caso in cui la minor durata della vita dovesse risultare conseguenza dell’evento lesivo (i.e. ove si accerti un nesso causalmente rilevante tra Ie lesioni e le ridotte aspettative di vita, ovvero tra le lesioni e la morte precoce, se già verificatasi al momento dell’instaurazione del giudizio), non va, per altro verso, dimenticato che il responsabile dell’unico evento lesivo ascrittogli sarà chiamato altresì a risarcire, jure proprio, il danno (parentale e patrimoniale) subito dai genitori del minore, in relazione all’intero periodo di presumibile vita del minore” (ciò che è puntualmente accaduto nel caso di specie, avendo Ia corte milanese riconosciuto, a tale titolo, Ia complessiva somma di 331.920 euro per ciascuno dei genitori)  I diversi impatti in relazione alla durata della vita In caso di morte precoce del danneggiato, occorrerà, pertanto, distinguere:

  1. “se Ia morte anticipata è stata causata dalle lesioni, iI responsabile sarà chiamato a risarcire, oltre al danno biologico e morale, possibilmente in forma di rendita, subito dal danneggiato nel periodo di tempo compreso tra il sinistro e Ia morte, anche, e onnicomprensivamente, il danno iure proprio subito dai genitori, in relazione alla ridotta aspettativa di vita e al presumibile periodo di vita del minore;
  2. se Ia morte non è stata causata dalle lesioni, il responsabile dovrà risarcire il danno biologico subito dal danneggiato valutato al tempo della commissione dell’illecito, oltre al danno da lesione del rapporto parentale in favore dei genitori”.

In definitiva, il responsabile, versando una somma periodica al danneggiato: “non lucra alcuno “sconto” sul risarcimento, in quanto:

  1. se la durata della vita del danneggiato è maggiore rispetto alla durata della vita media, sarà il danneggiato stesso a realizzare un lucro;
  2. se Ia durata della vita del danneggiato sarà, in concreto o presumibilmente, inferiore alla durata della vita media, e ciò a causa delle lesioni, il responsabile sarà tenuto a risarcire il danno sotto forma di
    rendita – la cui base di calcolo si fonderà non sulla speranza di vita in concreto, bensì su quella media di un soggetto sano – oltre al danno parentale subito dai genitori in conseguenza dell’illecito;
  3. se il danneggiato avrà una vita di durata inferiore alla media, ma ciò avviene per cause del tutto indipendenti dalle lesioni, il responsabile che cessa di pagare Ia rendita non realizza alcun “vantaggio” patrimoniale, poiché, il risarcimento cessa perché cessa il danno”.