Atti poco chiari e troppo lunghi sanzionabili con spese più alte

Articolo di: Avv. Maurizio Hazan
Pubblicazione: Il Sole 24 Ore
Data: 12 Giugno 2023

Atti processuali chiari, semplici e sintetici nei giudizi civili per garantire la «ragionevole durata del processo», prescritta dall’articolo 111 della Costituzione. È un principio già affermato dalla giurisprudenza e ora codificato dalla riforma Cartabia del processo civile (decreto legislativo 149/2022). Ma se i giudici sono giunti a dichiarare inammissibili atti troppo lunghi e di difficile comprensione, la riforma esclude di sanzionare con l’invalidità dell’atto il mancato rispetto dei limiti e delle regole redazionali, mentre se ne può tenere conto per regolare le spese di lite.
In particolare, la giurisprudenza della Suprema corte ha più volte predicato il rispetto – all’interno del processo – dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti, con particolare riferimento alle impugnazioni e, soprattutto, al ricorso per Cassazione (pronunce 17698/2014, 24585/2019, 8425/2020 e 7600/2023). Con l’ordinanza 16055 del 7 giugno 2023, il concetto è stato ulteriormente esploso sino a far dichiarare dalla Corte inammissibile, per violazione dell’articolo 366 del Codice di procedura civile, un ricorso definito come insuperabilmente confusionario, incoerente e tanto oscuro nella forma da non poter neppure essere esaminato e deciso. Non solo: la «abissale distanza tra il contenuto del ricorso e il contenuto che sarebbe lecito attendersi» ha indotto la Cassazione a condannare i ricorrenti in solido per avere agito quanto meno con colpa grave a pagare, oltre alle spese, una somma alla parte avversa (fissata in via equitativa in 3.600 euro) in base all’articolo 96, comma 3, Codice di procedura civile.
Traendo spunto dall’orientamento della Cassazione, la riforma ha cristallizzato nell’articolo 121 del Codice di procedura civile la necessità di stendere tutti gli atti in modo chiaro e sintetico, in ossequio a regole redazionali poi specificamente ribadite per l’atto di citazione e la comparsa di risposta (dagli articoli 163 e 167).
Ma lungi dal limitarsi a prese di posizione generali la riforma ha fornito alcune indicazioni di dettaglio modificando l’articolo 46 delle disposizioni attuative del Codice di procedura civile e ha affidato al ministero della Giustizia il compito di individuare con decreto le concrete modalità redazionali e i limiti di lunghezza degli atti processuali, anche in funzione delle esigenze del processo telematico.
Il ministero ha licenziato nei giorni scorsi lo schema del decreto, che si punta a far diventare operativo entro il 30 giugno 2023, per rispettare i tempi e gli impegni assunti in tema di giustizia nel Pnrr. Ma prima il testo deve passare il vaglio dei pareri del Consiglio nazionale forense, del Con- siglio superiore della magistratura e del Consiglio di Stato. E Cnf e Csm hanno già suggerito di posticipare l’entrata in vigore.
Nella versione attuale, lo schema di regolamento detta indicazioni precise e stringenti affinché gli atti forniscano al giudice tutti gli elementi utili a rappresentare in modo immediato ed esaustivo i termini fattuali e giuridici della questione oggetto di causa. E così gli atti dovranno riportare, oltre alle rituali indicazioni di base, le «parole chiave nel numero massimo di dieci, che individuano l’oggetto del giudizio». I limiti dimensionali degli atti, nella loro parte argomentativa, saranno di 50mila caratteri (spazi esclusi pari a circa 25 pagine) quanto agli atti introduttivi e alle note conclusionali, ridotti a 25mila per le memorie intermedie e a 4mila per le note scritte in sostituzione dell’udienza di cui all’articolo 127ter. L’inserimento (auspicabile) di un indice e di una sintesi dell’atto non sarà computato ai fini del raggiungimento dei limiti dimensionali, che potranno comunque essere motivatamente derogati per la particolare complessità della controversia, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti (in tal caso diventa necessario inserire indice e sintesi). Dovranno essere evitate note, salvo che per gli stretti estremi dei precedenti giurisprudenziali o per i riferimenti dottrinali citati. L’elenco dei documenti dovrà consentirne la consultazione con apposito collegamento ipertestuale.
Si tratta di criteri che, in quanto compatibili, dovranno essere osservati anche dai giudici, anch’essi chiamati al rispetto della stessa regola di chiarezza e sinteticità. E sarà compito del ministero della Giustizia favorire iniziative formative sulle modalità di redazione degli atti, con l’eventuale coinvolgimento di esperti in linguistica.
Il mancato rispetto di tali specifiche tecniche dell’atto non comporterà, in linea di principio, l’invalidità dello stesso ma potrà essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese di lite. Anche se le sanzioni più severe sono escluse, sono comunque indicazioni operative da non trascurare, in cui il confine tra forma e sostanza si assottiglia. Occorrerà non nascondersi più dietro il paravento di troppe parole e provare a convincere senza dilungarsi e, soprattutto, senza confondere.