Pratiche sleali, la nuova norma ai banchi di prova

Intervista a: Avv. Stefano Taurini
Pubblicazione: FOOD
Data: Gennaio 2023

La partenza è lenta, un po’ come quella dei motori diesel. La messa a terra di un perimetro di azione saldamente e diffusamente condiviso tra i soggetti coinvolti è ancora un obiettivo lontano. Tuttavia, le premesse perché la nuova norma possa rappresentare a regime uno strumento capace di migliorare il sistema ci sono. E questo in virtù del fatto che sta già dimostrando di impattare sulle prassi consolidate, seppure con misure e gradazioni diverse in funzione degli aspetti toccati. Si può sintetizzare così il primo bilancio del recepimento in Italia della Direttiva UE sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agroalimentare (UTPD), a un anno dalla sua entrata in vigore grazie al decreto legislativo 198/2021. E soprattutto a sei mesi dalla definitiva entrata in vigore degli effetti sanzionatori. La normativa, approdata nei singoli Paesi aderenti all’Unione dopo un lungo iter partito nell’aprile del 2019 con l’adozione del documento da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, punta a tutelare i fornitori più deboli nei confronti delle controparti più potenti del comparto. Va detto però che si tratta di una Direttiva di armonizzazione minima all’interno dell’Ue: ogni componente dell’Unione può infatti ampliare il perimetro indicato a livello comunitario. Uno spazio delimitato da una lista ‘nera’ di 10 pratiche commerciali sleali vietate in tutti gli Stati dell’Unione cui si affianca una lista ‘grigia’ nella quale sono segnalate 6 condotte consentite solo se preventivamente concordate in modo chiaro e inequivocabile dalle parti.

E proprio questa discrezionalità fa sì che la misura assuma colorazioni differenti a seconda del luogo in cui viene applicata, arrivando quindi a generare risultati potenzialmente anche parecchio diversi. Risultati che, per quanto riguarda il nostro Paese, dove va ricordato che la materia trovava già compiuta disciplina nell’articolo 62 del DL 1 del 24 gennaio 2012, sembrano restituire una fotografia in forte chiaro-scuro, con luci e ombre che si riflettono su tutti gli snodi in cui si articola la filiera.

L’ARCHITETTURA DELLA NORMA ITALIANA

Partiamo dalle luci. Il decreto 198 sembra andare diritto al punto – assicurare a tutte le imprese del settore agroalimentare un livello minimo di tutela contro le pratiche sleali che possono essere attuate dai contraenti più forti – grazie a una formulazione che pare risultare perfino più efficace di quella prevista dalla Direttiva Europea.
“Il nostro legislatore – afferma Stefano Taurini, avvocato presso lo Studio Legale Associato THMR – ha scelto, molto opportunamente, di offrire protezione a qualsiasi contraente che in concreto si trovi in una posizione di marcata debolezza nei confronti del proprio interlocutore e che per tale ragione sia esposto al rischio di subire comportamenti sleali, che possano quindi produrre danno ingiusto. La normativa italiana, dunque, almeno a livello di principio non distingue tra fornitore e acquirente, differenziandosi così nettamente dalle disposizioni comunitarie, dichiaratamente concepite sul presupposto che nel settore agroalimentare la parte debole, quella che deve essere protetta contro gli abusi altrui, non possa che essere il fornitore, fatto coincidere per lo più con il semplice agricoltore, ritenuto non in grado quindi di confrontarsi su un piede di parità con i più strutturati acquirenti e specialmente con la Gdo.